Questa mattina 14/02/2024 DON SERGIO È SALITO ALLA CASA DEL PADRE,
era nato il 16 Agosto del 1936.
Il funerale di Don Sergio sarà celebrato a RONCAGLIA sabato mattina 17/02/2024 alle ore 9.30 dal Vescovo Claudio. (cliccare sul titolo per leggere l’articolo intero)
di seguito riportiamo una biografia di don Sergio
pubblicata in occasione del suo 50'esimo anniversario di sacerdozio
il 7 luglio 2013
STORIA DI UNA CHIAMATA – STORIA DI UNA RISPOSTA
Era un mondo totalmente diverso dal nostro quello in cui si è trovato a nascere don Sergio Penazzato, venuto alla luce il ’16 agosto del lontano 1936, quasi settantasette anni or sono (rammentiamo che il presente articolo è stato scritto nel 2013), nel giorno che segue la Festa dell’Assunta.
Nelle ore in cui don Sergio emetteva i primi vagiti, si concludevano i giochi olimpici di Berlino: una manifestazione faraonica, ricca di modernità, dove un uomo di colore, l’americano Jesse Owens, sbaragliava la concorrenza conquistando quattro ori nell’atletica e dove la leggendaria nazionale guidata da Vittorio Pozzo dimostrava la schiacciante superiorità del nascente calcio italiano. Le comiche di Stanlio e Ollio facevano ridere intere generazioni mentre in Italia garbate commedie leggere,
dette dei “telefoni bianchi” intrattenevano un popolo ancora lontano dagli orrori che sarebbero giunti da lì a poco. La fragilità della condizione umana sarebbe emersa nel giro di pochi mesi con estrema violenza: l’effimero benessere economico e le menzogne dei cinegiornali vennero infatti spazzate via dalla carneficina della guerra mondiale. ln pochi anni, tutto cambiò. E continuò a cambiare: dopo la miseria dell’immediato dopoguerra fu la volta del boom economico, che viaggiava per il paese sulle note colorate dei jingle del Carosello. Poi i difficili anni’70, il terrorismo, il lungo strascico del ’68 con le sue mode e la sua voglia di rivoluzione. I leggeri anni ’80, i complicati anni ’90, gli anni 2000: l’affiorare di nuove paure e l’inizio di una nuova e
devastante crisi. Tutto è cambiato. Ma lungo questa storia così complicata, dove niente sembra resistere di fronte all’incessante mutare del tempo e delle stagioni, qualcosa rimane stabile. Qualcuno rimane sempre fermo lì, pronto ad accoglierci. Quel Qualcuno nel quale don Sergio ha riposto tutta la sua vita, pronunciando il suo solenne sì il 7 luglio del 1963.
BOCIA DE BOTEGA
Don Sergio cresce a Vigonovo, nella campagna veneziana ma sotto un campanile della diocesi di Padova. La sua è una famiglia numerosa, ma di dimensioni non eccezionali per l’epoca. Papà Attilio, contadino, e mamma Alba, che avrebbero poi terminato i loro giorni terreni proprio a Roncaglia, potevano contare su ben sei figli: due maschi e quattro femmine. Don Sergio era il quarto. Un ragazzino come tutti gli altri: in quinta elementare, proprio come molti dei ragazzi dell’epoca, aveva iniziato ad alternare la scuola a qualche lavoretto. Di pomeriggio, infatti, si recava dagli “scarpari” di Vigonovo per aiutarli come poteva, in cambio di qualche mancia: attaccava chiodini, puliva le botteghe. Poi, dopo la quinta elementare, don Sergio inizia a frequentare la scuola di avviamento agrario “Ettore Tito” a Dolo. Per lui si profila una vita a contatto con la terra. Eppure, don Sergio non sarà mai un contadino: sarà piuttosto, come Pietro, un pescatore. Un pescatore di uomini. «A metà del secondo anno della scuola di avviamento, avevo all’incirca 13 anni», racconta don Sergio, «ho incontrato un sacerdote del mio paese: don Mario Zannoni. ln un incontro con i ragazzi, quasi per
scherzo, ha domandato: “Chi vuole farsi prete? lo ho alzato subito la mano», scherza don Sergio. Sarà proprio don Mario ad aiutare il giovane Sergio a prepararsi per gli esami di ammissione alla scuola media. ll 13 ottobre del 1949 il futuro don Sergio entra in Seminario Minore.
ALL’ORIGINE DI UNA CHIAMATA
Erano ancora lontani gli agi dei seminari moderni di Tencarola prima e di Rubano poi. Il seminario minore, infatti, era il “Barcon”, rigido per via del clima di montagna e delle scarse comodità: «Eravamo in tantissimi», ricorda don Sergio, «con pochissimi mezzi. C’era tanto da studiare, eravamo trattati con tanto rigore. Mangiare si mangiava… quello che si mangiava», scherza, <<ma, del resto, era appena finita la
guerra. lIl boom economico sarebbe venuto molto dopo».ln45 ragazzi iniziarono le lezioni in quell’anno. ln 36 ne sarebbero usciti con le vesti talari addosso.
«Incominciai lì la mia prima media. Gli studi che avevo fatto prima all’avviamento agrario non mi servivano più: la materia importante, che non avevo ancora affrontato, infatti, era il latino». Dopo cinque anni a Thiene, comprendenti le nostre classi medie e i primi due anni del liceo classico, il famoso “ginnasio” don Sergio si sposta a Padova, presso il Seminario Maggiore: «Ricordo ancora la domenica delle Palme, quando
l’allora vescovo Bortignon ha benedetto le nostre vesti». A quell’epoca, infatti, il Seminario Maggiore ospitava anche gli ultimi tre anni del Liceo Classico, al termine dei quali, dopo un anno di “propedeutica”, iniziava lo studio della teologia.
Don Sergio era uno studente sveglio, intelligente, vivace, sempre in vena di scherzi e incline al sano divertimento. A volte pure troppo. Non ci dilungheremo nei particolari: non era certamente un discolo alla Pierino, ma il lettore non creda fosse nemmeno uno di quei ragazzini perfettini che allo sguardo del professore si pietrificano come statue di gesso. Ed è forse proprio in questi anni che si forma, in don Sergio, quel carattere scherzoso, sempre pronto alla barzelletta e alla battuta che tutti conosciamo.
LA MALATTIA E LA TESTIMONIANZA
Nel 1956 il cammino di don Sergio incontra uno stop: «Ero in terza liceo, poco prima della maturità. Sono stato colpito da una malattia piuttosto grave, per l’epoca. E così ho dovuto lasciare il seminario». Di quei mesi difficili don Sergio ricorda, scherzando: «Non ero a casa. Ero agli “arresti canonici”. A causa della mia malattia avevo bisogno di aria di montagna. E così sono stato ospitato nella canonica di Roana». E proprio
in quel frangente don Sergio impara forse di più di quello che avrebbe potuto apprendere dai libri: «ll padrone di casa era un grande sacerdote, don Marcello Lobbia. Proprio da lui ho imparato l’umiltà, la preghiera. Voleva che lo accompagnassi
quando andava a visitare le famiglie: è stato proprio grazie a lui che ho imparato ad approcciare la gente. Anche sua sorella, che viveva in casa con lui, teneva a me come a un figlio». Osserva don Sergio: «Non è stato tempo perso, tutt’altro. È stato prezioso per imparare molto». Don Marcello accompagna ogni mese il futuro don Sergio in una casa di cura a Mezzaselva, dov’era presente uno specialista di quella malattia: «Grazie
alla mia malattia ho scoperto l’accoglienza: un prete che nemmeno mi conosceva ha spalancato per me le porte di casa sua. Però, lo ammetto, sentivo tutto il dispiacere di stare lontano dal seminario. Ero come un pesce fuor d’acqua». L’anno successivo don Sergio ricomincia gli studi, ma gli acciacchi non lo abbandonano. L’anno di “propedeutica” e di studio della vocazione, infatti, lo passa per gran parte a casa, a Vigonovo: «Il cappellano della mia parrocchia», ricorda, «quando andava a Padova, si recava dai miei professori per farsi dare i compiti e qualche consiglio». Quel cappellano si chiama don Candido Maria Frigo, 88 anni: «È sempre stato un bravo ragazzo – racconta l’anziano sacerdote – è sempre stato fedele alla sua chiamata prima e al suo ministero poi. Ma, soprattutto, è sempre stato un uomo generoso».
Lo studio della teologia occupa tutti gli anni dal ’58 al ’63. Ed è proprio nel ,63 che Sergio diventa don Sergio, aderendo con il suo definitivo sì il progetto che il signore aveva per lui.
UN GIOVANE PRETINO DI CAMPAGNA
Il rettore di allora, monsignor Arturo Pitton, proprio in quei giorni, gli rivolse alcune parole, nelle quali chi legge la storia alla luce della provvidenza può intravvedere
una vera profezia: «Domanda al Signore di poter recuperare l’anno che hai perso nella malattia nel donarti all’apostolato». All’epoca non c’era tempo per pellegrinaggi o lune di miele. Don Sergio viene chiamato subito a esercitare il suo ministero. A casa sua, nella parrocchia di Galta. Don Sergio, infatti, è nato sotto la parrocchia di Vigonovo: ma nel 1962, il vescovo aveva elevato a parrocchia la curazia di Galta, sottraendola a Vigonovo. «ll parroco di Galta, don Aldo Miotto, era ammalato. ll vescovo Bortignon
mi aveva chiesto di sostituirlo: sono rimasto lì fino alla fine del settembre 1963».
Durante l’estate don Sergio dà ripetizioni di latino, nella canonica di Galta, alla nipote di don Aldo: Margherita Miotto, una ragazzina che all’epoca frequentava le medie, e che ora ricopre la carica di deputato della Repubblica.
ll primo anno di sacerdozio don Sergio è a Dolo, a pochi chilometri da casa, dov’è il responsabile spirituale dei bambini dell’orfanotrofio del posto. Tra il ’64 e il ’66 don Sergio è a Bagnoli, nell’area meridionale della Diocesi, come cappellano’ Anni difficili, anche dal punto di vista sociale: «Gli operai che lavoravano nelle campagne di un grosso proprietario terriero si sono ribellati. Volevano un aumento salariale, e avevano ragione. Ho partecipato ad alcune delle loro manifestazioni», ma aggiunge: «ln quegli anni ho cercato di far lavorare tanta gente, trovando per loro un posto di lavoro». Sempre a Bagnoli don Sergio ha lasciato un’altra delle sue impronte. Un gruppo di
talentuosi ragazzi coltivava un sogno: poter giocare in una squadra di calcio per affrontare i tornei estivi di Agna e Conselve. Don Sergio è accorso in loro aiuto, donando una serie di maglie da calcio di lana pesante a manica larga, verdi con una riga gialla trasversale nel mezzo. Nonostante i giocatori, nel corso del torneo estivo, abbiano sudato come beduini nel Sahara, l’intuizione di don Sergio ha dato origine
all’Unione Sportiva Bagnoli, che può vantare una lunga storia e un altrettanto lungo palmarès.
IL CAPPELLANO DELL’ARONAUTICA CHE ANTICIPA I TEMPI
Forse per far loro le ossa, i giovani preti venivano trasferiti di parrocchia in parrocchia piuttosto di frequente: tra il ’66 e il ’68 don Sergio è a Castelbaldo, tra Rovigo e Verona, l’estremo confine sud-occidentale della diocesi di Padova: «Un paese radicalmente di sinistra», precisa don Sergio, «ma molto rispettoso.
Guai a toccare loro il prete», aggiunge, «tant’è vero che ancora adesso, dopo più di quarant’anni, vengono a trovarmi». A Castelbaldo don Sergio mette in piedi un doposcuola per i ragazzi, grazie all’aiuto di un giovane diplomato, Gastone Malatesta, divenuto anch’egli sacerdote. Durante gli ultimi sei mesi di permanenza a Castelbaldo, don Sergio è nominato economo della parrocchia, giacché il vecchio parroco, don Piero Varotto, era passato nel mese di marzo a San Giuseppe, in Padova. La Provvidenza ha subito riunito don Sergio a don Piero: nel settembre del ’68, infatti, don Sergio raggiunge don Piero Varotto a San Giuseppe.
Dopo due anni, nel ’70, don Sergio viene trasferito nuovamente a Montà, dove svolge il ruolo di Vicario Economo. Infine, l’11 novembre del 1972,aì|’età di 36 anni, parroco per la prima volta, a san Siro di Bagnoli, dove rimarrà fino al 1979. A San Siro don Sergio comincia a fare il don Sergio. Se il vescovo Bortignon, visitando nel 1950 la parrocchia di Ponte San Nicolò, aveva detto che ogni parrocchia che si rispetti deve dotarsi, oltre che della chiesa, di un campanile, di una canonica e di una scuola materna, don Sergio è riuscito a fare ancora di più, costruendo, a fianco di una nuova canonica, il patronato e una pista di pattinaggio, opere rimaste tutt’ora. Nella pista di pattinaggio, in particolare, hanno cominciato la loro avventura diversi atleti che poi si sono distinti a livello nazionale.
Ma a Bagnoli, don Sergio ricopre anche il ruolo di cappellano militare, a servizio dell’80” gruppo I.T. dell’aeronautica militare, che fungeva anche da base Nato con la presenza di un nutrito drappello di soldati statunitensi, in anni in cui il Vietnam non era un ricordo lontano ma la tragica attualità con cui fare i conti.
Per il primo periodo, le messe venivano celebrate in un’aula denominata “sala briefing” dove le autorità militari facevano le loro riunioni, o fuori, sotto una tettoria. Poi, anche i militari, hanno iniziato a frequentare la chiesa parrocchiale: tra loro, anche alcuni soldati cattolici americani, che pur ascoltando la celebrazione eucaristica in una lingua diversa dalla loro, ricevevano da quel piccolo prete proveniente dalla campagna veneziana il Corpo e il Sangue del Dio di tutti i popoli.
Sempre a Bagnoli, don Sergio anticipa i tempi:40 anni per l’esattezza. Perché, uno dei primi della diocesi, capisce la necessità di coinvolgere il più possibile i genitori nel cammino verso i sacramenti dei figli, ben prima, insomma, che si parlasse del nuovo percorso di iniziazione cristiana al via, nella diocesi del Santo, proprio in questi mesi. L’appuntamento è ogni martedì sera: don Sergio consegna ai genitori e in generale
agli adulti un libretto del catechismo, eppure, quest’iniziativa, ben presto diventa qualcosa di più grosso. Alle lezioni di catechismo si uniscono i momenti conviviali, si mangia, si discute, si fa comunità. Anche i comunisti e i lontani dalla fede vi partecipano: segno distintivo di questo inusuale “club” quel piccolo libretto del catechismo. Sempre più sgualcito, sempre più spiegazzato, ma che tutti comunque si ostinano a portare in tasca per riconoscersi anche lontani dalle sale del patronato.
Oltre alle parrocchie, don Sergio presta servizio per ben vent’anni in numerose scuole,
in qualità di insegnante di religione: «Ho insegnato alle medie a Padova, a Bagnoli
e anche a Roncaglia. Ma ho insegnato anche nelle scuole superiori, alle magistrali al
Fusinato, a ragioneria all’Einaudi e quando ero a Bagnoli persino ad agraria». Ogni volta quindici, diciassette classi, tre o quattro mattinate ogni settimana.
RONCAGLIA: UN AMORE CHE CONTINUA
Il legame tra Roncaglia e don Sergio inizia nel 1979: «Il giorno dell’Assunta e del mio
compleanno erano appena passati. Tornavo da una settimana di esercizi spirituali a Camaldoli: appena mi ha visto, la mia mamma mi aveva detto che era passato il vicario
foraneo e che sarei dovuto andare subito in curia. Lì è cominciato tutto», sorride don
Sergio. «Quando mi hanno detto che sarei divenuto il parroco di Roncaglia ho chiesto dove si trovasse». Ma forse le indicazioni, sulle prime, non sono state delle più chiare: «Mi hanno detto la strada giusta. Peccato che, la prima volta che sono voluto venire a Roncaglia, non mi sono accorto dei cartelli e ho tirato dritto, fino a Ponte San Nicolò», ride don Sergio. La prima visita a Roncaglia nei primi giorni del settembre del ’79:«Ho incontrato il parroco don Bruno, ma nel frattempo, già alcune “delegazioni” di “roncagliesi” erano venute in avanscoperta a salutarmi e conoscermi».
I primi mesi di don Sergio a Roncaglia sono tutti giri in bicicletta, strette di mano, conversazioni amichevoli. Qui don Sergio inizia a conoscere il suo nuovo gregge, a riconoscere i volti, a meditarne le storie e ad apprezzarne le tante potenzialità: «Roncaglia era molto diversa da oggi. L’ho esplorata in lungo in largo in sella alla mia bicicletta. Ed ho subito apprezzato la cordialità della gente». A colpire positivamente
don Sergio, i tre “capisaldi” che ha riscontrato negli allora 2600 abitanti della frazione sannicolese, più che raddoppiata in questi 34 anni: «C’è sempre stata una buona frequenza al catechismo, anche nelle proposte rivolte agli adulti, un’ampia partecipazione alla Messa Feriale e una grande devozione alla Madonna.
È una comunità che collabora, questo sì, e che è generosa con chi ha meno. Roncaglia ha sempre sentito il problema dei poveri». Ma è nella concretezza che si riconosce l’approccio di don Sergio: «Nel giro di tre – quattro anni abbiamo costruito il patronato nuovo, abbiamo sistemato l’asilo e il tetto della chiesa». Il parroco però si schernisce: «Erano solo lavori che bisognava fare».
Una lunghissima permanenza quella di don Sergio a Roncaglia, inusuale di questi tempi: «Ho preso l’ergastolo», scherza come al suo solito don Sergio, «commutato poi in 34 anni», continua, incorreggibile. Ma com’è essere parroco così a lungo? «Da un lato i parrocchiani si possono stancare», ammette candidamente, «dall’altro pero è un bene, perché più a lungo stai in un posto, più conosci. E un parroco, la gente, deve conoscerla», Ammonisce don Sergio: «A me non possono raccontare frottole, conosco bene tutti i miei parrocchiani. Persino quelli nuovi, quelli appena arrivati». Chi conosce don Sergio può confermare: si può sapere vita, morte e miracoli della gente con quella malevolenza tipica dei pettegoli o si possono conoscere le persone, i loro problemi, le loro ferite e le loro gioie con gli occhi e con il cuore del buon pastore, di colui che «conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui», e che per esse offre la sua vita. Come fa, e come continuerà a fare, don Sergio per Roncaglia.