[Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.] C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Come Simeone, anche Anna, un’anziana vedova a servizio del tempio, vede il bambino, e il suo cuore si riempie di Gioia. Simeone e Anna rappresentano tutte le persone che, con semplicità e fedeltà, seguono il Signore, nelle nostre parrocchie, prestando qualche servizio, partecipando ogni giorno alle celebrazioni. Il Signore accetta anche questo tipo di presenza, gradisce queste persone che rappresentano lo zoccolo duro delle nostre povere comunità. E dice: anche vivendo la fedeltà con abitudine, senza grandi eventi, possiamo accogliere il Signore nel suo Natale. Dio chiede di essere accolto, di nascere nel cuore di ogni discepolo, di ogni uomo: i giorni che stiamo vivendo ci aiutano a spalancare il nostro cuore e la nostra vita alla fede del Dio che viene. Paradossalmente, dopo duemila anni di cristianesimo, il rischio è quello di anestetizzare il Natale di stravolgerne il significato, di renderlo insopportabile, inutile. Le persone che soffrono, che vivono sole, vivono il Natale come una festa infinitamente dolorosa. A loro, invece, Dio dice che sono i privilegiati, i prescelti, coloro che possono riconoscere il Dio fattosi povero.